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04 apr 2025

I dazi di Trump. L'elenco e commenti

di: Web Master

I dazi di Trump. L'elenco e commenti.

Le voci della tabella presentata da Trump: la lista completa dei Paesi, con tutte le percentuali. L’esempio dell’Iva, considerata un dazio

Trump, i nuovi dazi Usa: la tabella paese per paese
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Il presidente Donald Trump alle 22 (ora italiana) del 2 aprile, dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, ha sferrato il suo attacco al mondo, annunciando i «dazi reciproci» che gli Stati Uniti introdurranno nei confronti di tutti i Paesi del globo terracqueo. Lo ha fatto con i suoi consueti toni e davanti alla stampa riunita, illustrando le cifre abbinate a ogni singolo Paese attraverso una tabella con l’elenco delle nazioni «colpite» dai provvedimenti e relative tariffe che, in realtà, non saranno completamente reciproche.

Nel corso del suo speech, Trump ha detto anche che i dazi sarebbero stati in vigore a partire dalla mezzanotte, ma, subito dopo, la Casa Bianca ha precisato che le tariffe saranno effettive tra il 5 e il 9 aprile, in una sorta di calendario scaglionato. Sabato 5 aprile, alle 6, ora italiana, entreranno in vigore i dazi del 10%; mentre mercoledì 9 aprile, alla stessa ora, quelli di oltre il 10% imposti sui beni importati negli Stati Uniti da Paesi come Cina e Unione Europea.

Innanzitutto, proviamo a capire qual è il criterio adottato dall'amministrazione Trump e che ha portato a questo elenco. La Casa Bianca ha applicato un calcolo molto semplice: dazio pari alla metà di quello subito dagli States da parte dei vari Paesi. Secondo questo criterio, in cima alla lista delle imposizioni doganali è finita la Cina, che impone dazi del 67% e verrà dunque colpita da tariffe del 34%. Contro l'Unione europea, che protegge secondo Trump la sua produzione, compresa quella italiana, con gabelle del 39%, e che per il presidente ha «derubato» l’America, gli Usa reagiscono ora con tariffe del 20%

Poi, ci sono Taiwan (32%), Giappone (24%), India (26%), Corea del Sud (25%), Svizzera (31%), fino al Regno Unito. Londra è destinataria di un aumento dei dazi pari solo al 10%, in linea con quelli adottati nei confronti degli Stati Uniti. Alcuni Paesi, invece, sono colpiti in maniera davvero eccezionale. Quello più «tartassato», con il 46%, è il Vietnam, che ha un surplus commerciale di 123,5 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. Il Vietnam, però, è diventato negli anni un centro di produzione di scarpe da corsa, abbigliamento sportivo e outdoor ad alta tecnologia: nel Paese asiatico i marchi hanno cercato di ridurre l'esposizione alla Cina.

A partire da Nike. Il celebre marchio di abbigliamento sportivo dipende, infatti, fortemente dal Vietnam. Secondo il suo rapporto annuale, Nike ha prodotto nel Paese asiatico il 50% delle sue calzature e il 28% dei suoi capi di abbigliamento nell'anno finanziario 2024. La rivale Adidas, invece, è un po' meno esposta e conta sul Paese asaitico per il 39% delle sue calzature e il 18% dei suoi capi di abbigliamento. L’attacco commerciale al Vietnam è, per noi, un ottimo esempio per raccontare l’altra faccia della medaglia delle scelte di Trump. Spostare la produzione dal Vietnam non è una questione semplice per i brand sportivi. Anche altri Paesi del Sud-Est asiatico, come la Cambogia e l'Indonesia, hanno infatti subito dazi (rispettivamente del 49% e del 32%). L'aumento delle tariffe verso i prodotti importati dal Vietnam, dunque, costringerà nell’immediato i marchi ad assorbire costi maggiori e, probabilmente, ad aumentare i prezzi. Prezzi che pagheranno, alla fine, i cittadini americani. E questo non avverrà, ovviamente, solo per le sneakers (leggi qui un altro esempio: il caso delle lavatrici).

I conti «sbagliati» di Trump

Le argomentazioni di Trump sono indubbiamente accattivanti per il suo elettorato, ma le accuse che muove non partono da dati sempre reali. Ad esempio, quando dice che l’Unione Europea impone dazi sulle merci degli Stati Uniti del 39% sbaglia. Non esiste un dato unico e assoluto sui dazi medi tra Ue e Stati Uniti, perché il calcolo varia a seconda dei criteri usati. Tuttavia, spiega la Commissione Ue, se si considera l'effettivo scambio di merci tra Ue e Usa, in pratica l'aliquota tariffaria media su entrambe le parti è di circa l'1%. Nel 2023, gli Stati Uniti hanno riscosso circa 7 miliardi di euro di tariffe sulle esportazioni dell'Ue e l'Ue ha riscosso circa 3 miliardi di euro sulle esportazioni statunitensi.
La Casa Bianca per arrivare alle percentuali annunciate nel Giardino delle Rose, ha preso il valore del disavanzo commerciale tra gli Stati Uniti e quello ad esempio della Ue, lo ha reso con una percentuale rispetto al totale delle importazioni dalla Ue, e poi ha diviso per due. Quindi, se nel 2024 gli Stati Uniti hanno esportato merci verso l’Ue per oltre 370 miliardi di dollari e ne hanno importate per quasi 606 miliardi, il disavanzo commerciale è di circa 236 miliardi, ovvero il 39% delle importazioni, che diviso per due fa circa quel 20% di dazio che troviamo nella tabella di Trump.
Ma i conti di Trump hanno una grossa pecca: non considerano i servizi, cosa che riduce molto il disavanzo.

E poi c’è il discorso Iva. Su quelle merci, infatti, noi paghiamo l’Imposta sul valore aggiunto, che, come la sales tax Usa, non fa distinzioni sulla provenienza delle merci. Nei giorni che hanno preceduto il roboante annuncio nel Giardino delle Rose, Trump ha usato l’Iva come uno degli argomenti per spiegare la sua «guerra commerciale». Secondo la sua idea, «l’Iva è un dazio» e come tale è un’imposta che contribuisce a spiegare il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con l’Unione europea (236 miliardi di dollari nel 2024). In sostanza, la sua idea (ma non solo sua, va detto), è che un sistema di imposta sul valore aggiunto fornisca sussidi alle esportazioni e agisca come una tassa sulle importazioni. Questo, semplicemente, non è vero.

Per capire bene dove sta l’«inciampo» di Trump bisogna tenere presente che un dazio è un’imposta diretta a colpire solo i beni importati in un Paese col fine di scoraggiarne il consumo e renderli dunque più costosi dei beni prodotti internamente al Paese stesso. I dazi sono, dunque, uno strumento di politica protezionista. L’Iva, invece, è un’imposta che tassa nello stesso modo tutti i beni consumati all’interno di un Paese. Insomma, non fa distinzione sulla provenienza del bene (per intenderci, un elettrodomestico importato dagli Stati Uniti è appesantito dalla stessa Iva che grava su un elettrodomestico prodotto in Italia). Dunque, non vi è nella sua applicazione nessun intento di limitare le importazioni. E’ però importante sottolineare che se noi, come vorrebbe Trump, non imponessimo l’Iva ai prodotti made in Usa come la imponiamo ai beni prodotti in Italia, saremmo nella paradossale situazione di privilegiare le merci importate. Queste, infatti, sarebbero meno costose di quelle prodotte in Italia e, di fatto, godrebbero addirittura di una sorta di sussidio di Stato.

L’elenco di tutti i Paesi colpiti dai dazi

Ecco l’elenco completo dei Paesi colpiti dai dazi americani, rigorosamente in ordine alfabetico:
Algeria 30%
Angola 32%
Bangladesh 37%
Bosnia Erzegovina 36%
Botswana 38%
Brunei 24%
Cambogia 49%
Camerun 12%
Ciad 13%
Cina 34%
Corea del Sud 26%
Costa d’Avorio 21%
Filippine 18%
Fiji 32%
Giappone 24%
Giordania 20%
Guinea Equatoriale 13%
Guyana 38%
India 27%
Indonesia 32%
Iraq 39%
Isole Falkland 42%
Israele 17%
Kazakistan 27%
Laos 48%
Lesotho 50%
Libia 31%
Liechtenstein 37%
Macedonia del Nord 33%
Madagascar 47%
Malawi 18%
Malesia 24%
Mauritius 40%
Moldova 31%
Mozambico 16%
Myanmar 45%
Namibia 21%
Nauru 30%
Nicaragua 19%
Nigeria 14%
Norvegia 16%
Pakistan 30%
Repubblica Democratica del Congo 11%
Serbia 38%
Sudafrica 31%
Sri Lanka 44%
Svizzera 32%
Siria 41%
Taiwan 32%
Thailandia 37%
Tunisia 28%
Unione Europea 20%
Vanuatu 23%
Venezuela 15%
Vietnam 46%
Zambia 17%
Zimbabwe 18%


04 apr 2025

Spagna. 3000 euro di multa su uova per autoconsumo

di: Web Master

Spagna. 3000 euro di multa su uova per autoconsumo


Nelle zone rurali della Spagna, molte persone scelgono di avere un piccolo numero di galline e altri volatili in casa, una pratica molto comune per ottenere uova per autoconsumo. A seconda dell'utilizzo di questo alimento di origine animale, si dovranno seguire diverse procedure, secondo la legge.

Dopo la pubblicazione del Real Decreto 637/2021, del 27 luglio, che stabilisce le norme fondamentali per la gestione degli allevamenti avicoli, chiunque possieda galline è obbligato a registrarle, anche se sono solo per autoconsumo.

Nel caso in cui si ometta la registrazione di volatili come le galline per autoconsumo, si commette una infrazione lieve, per cui la multa o sanzione potrebbe andare da 600 a 3.000 euro.

https://www.eleconomista.es/actualidad/noticias/13272849/03/25/la-ley-recoge-obligaciones-para-los-huevos-de-autoconsumo-multas-de-hasta-3000-euros-para-quienes-tengan-gallinas-sin-registrar.html


Commento. Anche in Spagna, così come in America iniziano ad esserci problemi importanti su alimenti molto usati come le uova. Ovviamente il problema è per coloro che non registrano le galline. Ma avete provato cosa significa registrare le galline? Anche in Italia esiste una legge simile, solo che per ora non viene applicata, ma se un domani dovessero decider?

Bisogna avvisare l'asl, comunicare il tipo di gallina e se le uova sono per proprio consumo o se si danno ad altri. Ci sono tutta una serie di regole per come deve essere costruito e gestito il pollaio. In più si viene considerati "azienda" dal momento in cui si registra anche una sola gallina e, di conseguenza, possono esserci ispezioni di vario tipo...

La deriva sul cibo è dietro la porta...

26 mar 2025

Eolico dalla Puglia alla Romagna

di: Web Master

Eolico off shore: impianti per 2,4 GW dalla Puglia alla Romagna

Primi via libera per la creazione di un hub del Mediterraneo. Sono saliti a quattro gli impianti, per un totale di 2,4 gigawatt, hanno superato l’esame della Valutazione di impatto ambientale. Altri 20 gigawatt sono in lista d’attesa. Complessivamente l’eolico off shore potrebbe soddisfare quasi il 20% della domanda di elettricità in Italia

Dopo almeno cinque anni di attesa, l’Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore (Aero) ha annunciato che sono arrivati a quattro i primi impianti che possono proseguire nell’iter autorizzativo che li porterà a produrre energia dal vento catturato in mezzo al mare“. I quattro impianti sfruttano la tecnologia dell’eolico “floating“. In pratica, la basi su sui poggiano i piloni con le pale eoliche non vengono fissati ma “ancorati” al fondo marino

E’ l’eolico off shore “galleggiante“, pensato per gli impianti che vanno a sfruttare la forza del vento dove il mare è più profondo. Proprio come nel Mediterraneo. E per la sua posizione, l’Italia può diventare il punto di riferimento per questa tecnologia. Perché dispone di porti che possono essere attrezzati per ospitare sia navi e personale destinati alla manutenzione, sia i cantieri che portano le attrezzature al largo.

L’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale nell’eolico off shore galleggiante

E’ un altro passo avanti. Il Decreto Porti – in dirittura d’arrivo individua Augusta, come hub prioritario per il nostro Paese. A dimostrazione che dopo aver atteso a lungo, con un solo impianto off shore in attività nel porto di Taranto, ora anche l’Italia potrà dire la sua. E diventare il punto di riferimento nel Mediterraneo per le energie rinnovabili offshore. Secondo il Global Wind Energy Council, l’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale di sviluppo dell’eolico galleggiante

I quattro impianti che hanno superato la Valutazione di impatto ambientale son dislocati tra Sicilia, Puglia e Romagna. Al largo di Barletta, c’è il progetto Barium Bay, con una potenza installata di 1,1 gigawatt. Nasce da una joint venture tra Galileo, piattaforma paneuropea per le rinnovabili, e Hope, azienda di Bari. Sorgerà a 40 km dalla costa, con 74 pale “floating”.

Al largo di Ravenna c’è il progetto Agnes, 600 mw di eolico e 100mw di fotovoltaico galleggiante. Due miliardi di investimento per un impianto che potrà portare elettricità a mezzo milione di famiglie. Poco distante, a Rimini, altri 330 mw con il progetto Energia2020. Il quarto impianto che ha passato la Via si trova al largo della Egadi, in provincia di Trapani: sono i primi 250 mw di un progetto ben più ampio a cura di Seas Med

Di Augusta si è detto. Altri porti strategici per la filiera dell’eolico galleggiante sono stati individuati in Taranto, Brindisi, Civitavecchia, che “garantiranno l’assemblaggio e la logistica degli aerogeneratori eolici, contribuendo allo sviluppo di una filiera industriale italiana”, come si legge in una nota a cura di Aero.

L’impianto eolico off shore a Taranto

Al 2050 potrebbero essere installati al largo delle coste italiane impianti fino a 20 gigawatt di potenza installata

La crescita dell’eolico offshore galleggiante è un’occasione storica per l’Italia. Oggi abbiamo gli strumenti per rendere il nostro Paese leader nella transizione energetica, creando un’industria nazionale che generi occupazione, innovazione e valore. Il successo di questa trasformazione dipenderà dalla capacità di istituzioni e imprese di lavorare insieme per costruire un futuro sostenibile” ha dichiarato Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero.

L’associazione ha anche raccolto i dati di tutti i progetti sull’eolico galleggiante. In Italia ci sono 130 progetti, per un totale di 86 GW, in base alle richieste di connessione alla rete di Terna. “Di questi 130, solo 75 progetti (49 GW) hanno accettato i preventivi di connessione di Terna” spiega l’associazione. Di questi 75, solo 23 progetti, per circa 16,5 GW, hanno avviato l’iter di Valutazione di Impatto Ambientale presso il Ministero.

Dunque, solo una minima percentuale dei progetti che hanno fatto richiesta di connessione, rappresenta l’obiettivo al 2030 e anche gli scenari più ambiziosi difficilmente prevedono una potenza installata superiore ai 20 GW al 2050“. Ma sarebbe un passo avanti significativo verso gli obiettivi di decarbonizzazione.

Commento. Scusate, mi sono perso qualcosa oppure lo sfruttamento di terra e mare per l'energia prosegue??

26 03 25

26 mar 2025

Gli Stati Uniti sono rimasti senza uova

di: Web Master


Gli Stati Uniti sono rimasti senza uova, Trump chiede aiuto all'Italia (che dice no)

L'ambasciata di Washington a Roma si è rivolta a Unaitalia, per una fornitura che coprisse i prossimi sei mesi

Foto di repertorio Pixabay

"Vendeteci le uova". La richiesta arriva in Italia e in altri paesi europei direttamente dagli Stati Uniti, che da mesi affronta una carenza del prodotto per via dell'influenza aviaria che ha colpito le galline degli allevamenti statunitensi, facendo schizzare alle stelle il prezzo di un bene che è fondamentale per la cucina e la dieta nazionale.

L'Italia dice 'no' alla richiesta degli Usa: "Copriamo a sufficienza il nostro fabbisogno"

Dopo la Danimarca, l'amministrazione Trump si è rivolta all'Italia, che però ha dato parere negativo. Una settimana fa, infatti, l'ambasciata di Washington a Roma si è rivolta a Unaitalia, l'Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova, per una fornitura che coprisse i prossimi sei mesi. L'associazione, però, ha respinto la richiesta, perché in Italia non c'è una grande capacità di export, dal momento che la produzione consente di soddisfare solo il mercato nazionale. "Abbiamo una autosufficienza che raggiunge a malapena il 97 per cento - ha commentato Ruggero Moretti, presidente Comitato Uova di Unaitalia - non c'è disponibilità e non possiamo permetterci forniture aggiuntive". Lara Sanfrancesco, direttrice Unaitalia, racconta come si stiano muovendo le ambasciate statunitensi, che stanno sondando la capacità di export di uova da tavola o destinate l'industria di molti Paesi europei. Attualmente, spiega la numero uno di Unaitalia, all'ambasciata italiana è giunta solo una richiesta esplorativa per constatare la capacità e l'eventuale disponibilità da parte delle aziende aderenti all'associazione italiana, responsabili del 30 per cento della produzione complessiva del nostro paese.

A restituire un quadro dei movimenti statunitensi è stato Jørgen Nyberg Larsen, ceo della Danish Egg Association, che ha riferito ai media come anche Francia e Lituania abbiano declinato la richiesto, "ma credo che gli americani abbiano provato a contattare tutti i Paesi europei, ricevendo la stessa risposta". Anche la Finlandia avrebbe risposto con un secco "no". Come riporta la tv finlandese, la Finnish Poultry Association, l'associazione avicola nazionale, ha respinto la richiesta americana perché non sono state tenute trattative di accesso al mercato con le autorità statunitensi. "Si tratta di un processo lungo che comporta ispezioni e studi approfonditi", ha spiegato il direttore esecutivo dell'organizzazione, Veera Lehtila.

Il contrabbando delle uova dal Messico

Per colmare il vuoto nelle dispense, i cittadini degli States hanno iniziato a rifornirsi di scorte più economiche in Messico e in Canada, paesi che il presidente Donald Trump ha colpito con una raffica di dazi sulle loro merci. Tuttavia, il passaggio delle uova lungo le frontiere statunitensi non è affatto semplice, aprendo così un varco illegale, alimentato dai cartelli dei trafficanti messicani. Secondo la US Customs and Border Protection, le intercettazioni di uova di contrabbando dal Messico sono aumentate del 36 per cento a livello nazionale quest'anno rispetto all'anno precedente e del 54 per cento lungo alcune parti del confine del Texas. Il Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti vieta questo tipo di importazioni, dal momento che le uova non ispezionate tramite canali ufficiali possono diffondere malattie.

Le altre strategie adottate dagli Stati Uniti

Ovviamente gli States cercano una fonte alternativa per soddisfare il bisogno nazionale. Gli sforzi per diversificare la fornitura di uova fanno parte della proposta dell'Usda d'investire 1 miliardo di dollari per affrontare i maxi costi delle uova, saliti a un massimo record di 5,90 dollari per una dozzina a febbraio, un aumento del 10,4 per cento rispetto all'anno scorso e del 189 per cento rispetto al minimo di agosto 2023.

L'influenza aviaria ha messo in ginocchio le filiere di approvvigionamento delle uova degli Stati Uniti, causando la morte di oltre 20 milioni di galline ovaiole negli allevamenti americani nell'ultimo trimestre del 2024. Gli Usa hanno chiesto aiuto anche alla Turchia, che nel 2025 prevede di esportare 420 milioni di uova. Un numero sostanzioso, ma che impallidisce di fronte alla tipica fornitura media degli Usa, che producono 7,5 miliardi di dozzine di uova ogni anno.


Commento. Potrebbe essere l'inizio della problematica legata al cibo?

18 mar 2025

Ritorno al denaro in contante in Svezia

di: Web Master

Ritorno al denaro contante: la vita senza soldi in tasca non è sicura come la Svezia sperava

Articolo tratto dalla rassegna stampa estera di EPR Comunicazione

Di Redazione Web -17/03/2025

I paesi nordici sono stati tra i primi ad adottare i pagamenti digitali, al posto del denaro contante. Ora, l’e-banking – scrive The Guardian – è visto come una potenziale minaccia alla sicurezza nazionale Nel 2018 un ex vice governatore della banca centrale svedese aveva previsto che entro il 2025 il paese sarebbe probabilmente diventato un paese senza contanti,.

Sette anni dopo, quella previsione si è rivelata piuttosto veritiera. Solo un acquisto su dieci viene effettuato in contanti e la carta è la forma di pagamento più comune, seguita dal sistema svedese di pagamento mobile Swish, lanciato da sei banche nel 2012 e ormai onnipresente. Anche altri servizi di pagamento tramite telefono cellulare stanno crescendo rapidamente.

Pagamenti digitali e denaro contante

Infatti, secondo il rapporto annuale sui pagamenti della banca centrale, pubblicato questo mese, la Svezia e la Norvegia hanno la più bassa quantità di contanti in circolazione, in percentuale del PIL, al mondo.

Ma nel contesto odierno, con la guerra in Europa, l’imprevedibilità negli Stati Uniti e il timore di attacchi ibridi russi che fanno quasi parte della vita quotidiana in Svezia, la vita senza contanti non si sta rivelando l’utopia che forse una volta prometteva di essere.

A dicembre il governo ha pubblicato i risultati di un’indagine che proponeva di obbligare alcuni agenti pubblici e privati ad accettare contanti, una raccomandazione che secondo la banca centrale dovrebbe essere attuata dalle autorità.

[…]

Non solo in Svezia

La Svezia non è l’unico paese nordico a fare marcia indietro sui piani per una società senza contanti. L’anno scorso la Norvegia, che ha un popolare equivalente svedese chiamato Vipps MobilePay, ha introdotto una legge che prevede multe o sanzioni per i rivenditori che non accettano contanti. Il governo ha anche raccomandato ai cittadini di “tenere un po’ di contanti a portata di mano a causa della vulnerabilità delle soluzioni di pagamento digitale agli attacchi informatici”.

L’ex ministro della giustizia e delle emergenze norvegese Emilie Mehl lo ha detto chiaramente: “Se nessuno paga in contanti e nessuno accetta contanti, il contante non sarà più una vera soluzione di emergenza una volta che la crisi sarà alle porte”.

Commento. Ecco che qualcuno inizia a defilarsi, mentre l'Europa vuola andare nella direzione dell'euro digitale entro fine 2025..

16 mar 2025

Alessandro Leonardi

di: Web Master


Ue, ecco il piano per risvegliare i risparmi parcheggiati in banca

Mercoledì la Commissione discute un piano che ha l’obiettivo di smuovere almeno una parte dei 10mila miliardi di euro dei piccoli risparmiatori custoditi nei conti correnti bancari (e sostanzialmente inutilizzati) per trasformarli in capitale di rischio e in investimenti. L’obiettivo è sostenere la competitività dell’industria europea e le nuove priorità, a cominciare dalla difesa.

Come ho più volte annunciato nelle mie conferenze e nelle mie live ecco arrivato il momento in cui cominceranno a toccare i nostri risparmi nei conti correnti. Il caro Mario Draghi l'aveva richiesto meno di un paio di anni fa ed eccolo accontentato. Il Sole 24 ore ci regala un maggior dettaglio inenerente alle modalità in via di studio. Mettere il nostro capitale come bene di rischio di fronte agli investimenti.

Quando lo dicevo nelle conferenze anni fa erano in pochi coloro a crederci, così come quando parlai dell'attacco alle case e alla proprietà privata, ma tutto sta andando in quella direzione. Nei miei ultimi volumi Apocalisse green 1,2,3 editi da Macro Edizioni trovate in anticipo tutti i discorsi inerenti gli espropri, le case, la proprietà privata, i crediti di carbonio e come avrebbero colpito conti correnti, cripto valute e cassette di sicurezza. Come sempre difficilmente la mia documentazione mi permette di sbagliare, anche perchè ciò che avviene oggi non è nient'altro che il frutto di leggi fatte ieri... e sono anni che ci lavorano, come dimostro nei miei libri. E' brutto avere ragione, ma è ora di responsabilizzarsi. Progetto Atena 2030 è stato realizzato proprio perchè sapevo che sarebbe giunto questo momento, così come la centralizzazione del cibo nelle mani delle grandi multinazionali e la distruzione dei piccoli imprenditori agricoli. Purtroppo il tempo a disposizione sta per scadere... 

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/ar...


15 mar 2025

Stop al caro energia!

di: Web Master

Stop al caro energia!

Consigli per soluzioni alternative per riscaldare la propria casa.

Con l'aumento dei costi energetici, molte famiglie cercano soluzioni alternative per riscaldare la propria casa e ridurre le spese in bolletta. Esistono diverse strategie per ottenere un ambiente caldo e confortevole senza dipendere completamente dal gas, contribuendo allo stesso tempo a un minore impatto ambientale. Stop al caro energia diventa un obiettivo sempre più condiviso.

Un'alternativa efficace è rappresentata dalle pompe di calore, dispositivi che sfruttano l'energia presente nell'aria, nell'acqua o nel suolo per riscaldare gli ambienti con un consumo energetico inferiore rispetto alle caldaie tradizionali. Sebbene richiedano un investimento iniziale, nel lungo periodo permettono di ridurre notevolmente la spesa energetica.

Un altro metodo conveniente è l’uso di stufe a pellet o a biomassa, che utilizzano combustibili naturali come legna o scarti vegetali. Questi impianti hanno un'efficienza elevata e costi di approvvigionamento inferiori rispetto al gas, garantendo un risparmio significativo.

Anche il miglioramento dell’isolamento termico dell’abitazione è una strategia essenziale per trattenere il calore e diminuire i consumi. Infissi a doppio vetro, cappotti termici e tapparelle ben isolate possono fare la differenza nel mantenere una temperatura interna stabile, riducendo la necessità di riscaldamento. Stop al caro energia è possibile anche attraverso piccoli accorgimenti quotidiani.

Infine, l’uso di pannelli solari termici rappresenta una soluzione ecologica ed efficiente. Questi sistemi permettono di sfruttare l’energia solare per produrre acqua calda e riscaldare gli ambienti, diminuendo la dipendenza dal gas.

Grazie a queste soluzioni, è possibile ridurre i costi energetici e contribuire alla sostenibilità ambientale. Per approfondire le opzioni disponibili, si possono consultare risorse come il sito dell'ENEA (https://www.enea.it/), che fornisce consigli su efficienza energetica, il portale di ARERA (https://www.arera.it/) per confrontare i costi delle diverse fonti energetiche, o il sito di Altroconsumo (https://www.altroconsumo.it/) per trovare suggerimenti pratici su come risparmiare. Investire in fonti di calore alternative e migliorare l’efficienza della propria abitazione è la chiave per dire stop al caro energia e vivere un inverno più sereno e conveniente.

15 mar 2025

Espropri in Sardegna

di: Web Master

Espropri in Sardegna

Nell'estate del 2024, la Sardegna è stata teatro di numerosi espropri territoriali legati a progetti infrastrutturali ed energetici, suscitando preoccupazioni tra le comunità locali. Uno degli interventi più discussi è stato il Tyrrhenian Link, un cavo sottomarino progettato per collegare la Sardegna alla Sicilia e al continente italiano. Questo progetto ha previsto la realizzazione di stazioni di conversione e smistamento nel territorio di Selargius, coinvolgendo circa 17 ettari di terreni agricoli.

Le procedure di esproprio hanno incontrato una forte opposizione da parte dei proprietari terrieri e delle comunità locali. In particolare, a Selargius, i proprietari Mariangela e Benedetto hanno rifiutato di cedere i loro terreni, diventando simbolo della resistenza contro gli espropri in Sardegna. Mariangela ha condiviso la sua testimonianza in un video, esprimendo la sua determinazione nel proteggere le sue vigne dall'esproprio. 

Le proteste hanno visto la partecipazione attiva di comitati locali e cittadini preoccupati per l'impatto ambientale e sociale dei progetti. A Su Padru, area designata per la stazione di conversione, si è formato un presidio permanente per opporsi agli espropri in Sardegna. Le forze dell'ordine sono intervenute per sgomberare i manifestanti, ma la resistenza è proseguita con determinazione. 

Un altro caso significativo riguarda Olbia, dove l'approvazione del nuovo Piano Urbanistico Locale (PUL) ha comportato una serie di espropri per la riqualificazione delle coste. Centinaia di proprietà sono state coinvolte, generando preoccupazioni tra i residenti riguardo alle future trasformazioni del territorio. 

Le comunità locali hanno espresso timori che tali espropri in Sardegna possano compromettere l'identità culturale e l'integrità ambientale dell'isola. La testimonianza di Maria Sias sottolinea l'urgenza di unire le forze contro questi interventi: "Tanti gli espropri in atto. Uniamoci, il tempo sta scadendo. Mi auguro che a Saccargia saremo numerosi e agguerriti".

Le proteste contro gli espropri in Sardegna hanno evidenziato la necessità di un dialogo più inclusivo tra istituzioni e comunità locali. Le preoccupazioni riguardano non solo la perdita di terreni agricoli e aree naturali, ma anche l'impatto socio-economico sulle popolazioni coinvolte. La richiesta principale è quella di una maggiore trasparenza nei processi decisionali e di una valutazione attenta delle reali necessità e benefici dei progetti proposti.

In conclusione, gli espropri territoriali dell'estate 2024 in Sardegna hanno sollevato questioni complesse che richiedono un equilibrio tra sviluppo infrastrutturale e tutela del patrimonio ambientale e culturale dell'isola. Le testimonianze delle comunità locali evidenziano l'importanza di processi partecipativi e condivisi nelle scelte che riguardano il futuro del territorio sardo.